Il progetto

Progetto laboratorio Marruca

Come nasce il progetto Marruca

Il progetto Marruca nasce nel 1999, in una stanza un po’ malmessa di un casolare ai piedi del Matese.

L’inizio è fatto di sperimentazioni, ricerca e incontri con i vecchietti della valle che in passato oltre a riparare le scarpe avevano acquisito qualche rudimento di arte calzaturiera. Nascevano così tanti sandali, non perfetti ma forti e resistenti, che piacevano agli amici e non solo.

Così quello che era stato un passatempo divertente diventava sempre più un lavoro, fatto di richieste, impegni e sopratutto voglia di crescere artigianalmente.

Perché scegliamo il nome “Marruca”

Decidiamo di dare a questa esperienza il nome di Marruca, in dialetto campano la lumaca, simbolo del movimento lento ma costante. Epiteto opposto della produzione veloce ed in serie.

Espressione di una lavorazione artigianale che decide di andare piano, ma di seguire il prodotto in tutti i suoi dettagli.

Marruca va a scuola nella bottega di Paolo Ermini

Poi l’incontro con un vero artigiano della scarpa, Paolo Ermini; la sua bottega a Firenze diventa la scuola che cercavamo.

La sua generosità trasforma il nostro buffo e originale metodo di costruzione della scarpa e così lentamente impariamo come si disegna un modello, come si monta una scarpa sulla forma con chiodini e pinze, come si fa lo spago e come si cuciono le scarpe col metodo S.Crispino o alla Norvegese.

Così la nascita di questo bizzarro esperimento: tanta fatica per recuperare tutta quella tradizione che non abbiamo alle spalle, quelle conoscenze che non abbiamo acquisito in nessuna scuola specializzata, ma Paolo ha tanta pazienza e noi siamo testardi, e così nascono i primi modelli.

Nascono così i primi modelli

Sono inusuali, non seguono le linee classiche delle scarpe (sono irregolari direbbero i tecnici), ma sono colorate e fantasiose. In più sono realizzate con materiali d’eccellenza: cuoio a concia vegetale (da impenitenti ecologisti non potevamo fare altrimenti), gomme antiscivolo di prima qualità o copertoni riciclati, filati ottimi, e poi sopratutto ciò che invoglia i clienti, è l’idea che la scarpa che scelgono non è già fatta.

Non essendo un calzaturificio con una produzione in serie decidiamo di lavorare solo su ordinazione; esponiamo dei modelli di riferimento, poi a chi è intenzionato ad acquistare le nostre scarpe prendiamo le misure dei piedi (così possiamo assecondare anche qualche leggera imperfezione del piede, tipo collo troppo pronunciato, alluce valgo, pianta larga, pianta stretta, piedi piccolissimi o piedi grandissimi). Inoltre diamo la possibilità di modificare il modello scelto nel colore, nelle decorazioni, altezza del tacco e suolatura.

Nascono così tanti modelli diversi l’uno dall’altro che dal nostro laboratorio partono nei pacchi per tutta l’Italia.

La scelta dei luoghi d’esposizione itineranti e i materiali d’eccellenza

Le scarpe che realizziamo le vendiamo personalmente nei mercatini dell’artigianato e nelle fiere legate al mondo del biologico, ecocompatibile ed equosolidale.

La nostra ricerca  infatti si indirizza sempre più verso questi settori: oltre alla scelta del cuoio a concia vegetale, prediligiamo i colori naturali e i collanti al lattice, e sopratutto sosteniamo il fatto a mano e la filiera corta.

Tutto nasce e finisce nel nostro piccolo laboratorio, usiamo poche pochissime macchine, facciamo quasi tutto a mano e partiamo sempre dalle materie prime. Ingredienti che danno vita a scarpe forti, che durano tanto e sopratutto sono sempre riparabili.

Il presente del nostro progetto: Marruca trova casa in Molise

Nel frattempo dal 2004 ci siamo trasferiti in Molise, a Pizzone.

Come i salmoni abbiamo risalito la corrente e dalla media Valle del Volturno siamo arrivati alle sorgenti.

Qui abbiamo preso un terreno dove stiamo ricostruendo una casetta di legno e  da qualche anno portiamo avanti un piccolo allevamento di api.

Per comprare due ettari scarsi abbiamo contattato una decina di proprietari sparsi per il mondo.

Queste terre oggi ricoperte di boschi un tempo erano lavorate in ogni dove. Poi molti hanno lasciato, sono andati lontano, continuando a comprare terreni qui. I loro eredi non sanno più neanche dove sono queste proprietà che nel frattempo sono state frazionate sempre di più tra i discendenti. Abbiamo firmato atti di vendita con eredi in America, in Belgio e in Francia.

Ma questa è storia comune a tanti paesi di montagna e non solo, un tempo pieni di vita ed ora quasi spopolati

Ora, il nostro desiderio è sempre più quello di tentare di fare qui.

Portare la gente tra queste montagne con la scusa del laboratorio, dello scegliersi un paio di scarpe fatte a mano e mentre le aspettano gironzolare tra i nostri luoghi.

Qui c’è tanto da fare o anche da non fare, dipende da ciò che si cerca.

Più di qualcuno è venuto per farsi fare le scarpe, ed è rimasto per qualche giorno, mettendo ogni tanto le mani sulla cucitura della propria tomaia e sull’incollatura della suola che li porterà a zonzo per qualche anno.

Questo ci piace proprio.

Quanto c’è da fare in uno spazio vuoto

Quando siamo arrivati, la domanda della gente del posto era sempre questa: ma come mai siete venuti qui? Da qui tutti vanno via, perché non c’è lavoro. Non c’è niente da fare! Non c’è più nessuno!!

E invece a noi sembra che qui ci siano tante cose da fare.

Penso a come sarebbe bello per le persone che ogni tanto vengono a trovarci, incontrare un pastore che ancora fa del buon formaggio con gli animali a pascolo, trovare qualche bottega a aperta con altri artigiani, incontrare un contadino che possa vendergli della farina buona, dal mais macinato da poco.

Abbiamo la sensazione che qui ci siano molti spazi vuoti da riempire.